“L’ultimo stop” non è un cortometraggio facile. Tratta di un tema di coscienza, la dolce morte, che non ammette una seconda chance: intrapresa quella strada indietro non si torna. Eppure, nonostante la moltitudine di letture che se ne danno, l’urgenza che ho avuto di raccontare è stata dirompente, irrinunciabile. Del suicidio assistito bisogna parlare ma riportandolo all’essenza del vissuto, all’asciuttezza di decisioni personali sgombre da sentimentalismi che ci offuscherebbero la capacità di comprendere.
Se stessimo soffrendo, se non fossimo più autosufficienti, se non lo fosse un nostro caro, come ci comporteremmo? Cosa faremmo? Cosa vorremmo poter fare che oggi non ci è concesso?

Lontano da ogni pregiudizio o schieramento ideologico, volevo una storia che parlasse al cuore e alla mente di tutti, indistintamente. Una storia coinvolgente e originale, che sapesse rendere più comprensibile il suicidio assistito, la prima frontiera legale per affrontare il tema più ampio dell’eutanasia.
L’ultimo stop è un cortometraggio di finzione essendo privo di riferimenti biografici o di episodi legati alla cronaca recente, anche se ciò che accade nel mondo è per me naturale fonte di ispirazione. Ma questo lavoro è soprattutto il risultato di una ricerca preliminare finalizzata, in primo luogo, nel cercare le ragioni profonde di una scelta. La scelta di porre fine alla propria esistenza.